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Responsabilità solidale negli appalti: per la Cassazione il termine di decadenza biennale a favore del committente non si applica rispetto alle pretese contributive dell’Ente previdenziale

Di seguito l’articolo a cura di Benedetto Fratello e Valentina Pepe a commento della sentenza Cassazione Civile, sez. lav., 04/07/2019 n. 18004 sul tema della responsabilità solidale del Committente negli appalti e pubblicato da Diritto24.

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 18004 del 4 luglio 2019, torna a pronunciarsi in materia di responsabilità solidale del Committente negli appalti, ai sensi dell’art. 29, co. 2, d.lgs. n. 276/2003, questa volta affrontando, in termini assolutamente innovativi e dirompenti, la questione dell’applicabilità (o meno) del termine di decadenza biennale anche alle pretese contributive dell’Ente previdenziale.

Ratione temporis, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulle disposizioni dell’art. 29, co. 2, d.lgs. n. 276/2003, nel testo anteriore alle modifiche del 2012 (apportate dall’art. 21 d.l. 5/2012 conv. L. 35/2012 e dall’art. 4, co. 31, L. 92/2012), che così recitava: “In caso di appalto di opere o di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti”.

La sentenza in commento – seppure inerente ad una fattispecie riconducibile all’art. 29, co. 2, d.lgs. n. 276/2003 ante riforma del 2012– è di attuale e peculiare interesse, in quanto si discosta apertamente dall’orientamento della giurisprudenza di merito, ad oggi consolidato.

La Suprema Corte, infatti, intervenendo per la prima volta sulla questione dell’assoggettabilità al termine di decadenza biennale (dalla cessazione dell’appalto) delle pretese contributive dell’Ente previdenziale nei confronti del Committente responsabile in solido, confuta il consolidato orientamento in materia, sancendo – con evidente portata innovativa – che “il termine di due anni previsto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, non è applicabile all’azione promossa dagli enti previdenziali, soggetti alla sola prescrizione”.

A tale conclusione la Corte di Cassazione perviene sul presupposto che “l’obbligazione contributiva, derivante dalla legge e che fa capo all’INPS”, sia “distinta ed autonoma rispetto a quella retributiva”, abbia “natura indisponibile” e vada “commisurata alla retribuzione che al lavoratore spetterebbe sulla base della contrattazione collettiva vigente (cd. minimale contributivo)”. Considerata, pertanto, la peculiarità dell’obbligazione contributiva, che coincide con il concetto di “minimale contributivo” strutturato dalla legge “in modo imperativo” – prosegue la Corte di Legittimità – non si può ritenere “coerente” con tale assetto un’interpretazione della norma in commento che, a fronte dell’azione tempestivamente proposta dal lavoratore per la corresponsione della retribuzione, comporti l’impossibilità di soddisfacimento anche dall’obbligo contributivo in ragione della mancata attivazione dell’Ente previdenziale nel termine di due anni dalla cessazione dell’appalto: “Si spezzerebbe, in altri termini e senza alcuna plausibile ragione logica e giuridica apprezzabile, il nesso stretto tra retribuzione dovuta (in ipotesi addirittura effettivamente erogata) ed adempimento dell’obbligo contributivo, con ciò procurandosi un vulnus nella protezione assicurativa del lavoratore che, invece, l’art. 29 cit. ha voluto potenziare”.

A sostegno di tale interpretazione, la Corte di Cassazione richiama l’orientamento formatosi nel vigore della L. 1369/1960 (abrogata dall’art. 85 del d.lgs. n. 276 del 2003), che poneva uno specifico regime di responsabilità del Committente in ordine ai trattamenti retributivi e agli obblighi previdenziali afferenti ai dipendenti dell’appaltatore, assoggettato a termine di decadenza di un anno dalla cessazione dell’appalto.

In particolare, l’art. 4 della L. 1369/1960 stabiliva che “i diritti spettanti ai prestatori di lavoro […] potranno essere esercitati nei confronti dell’imprenditore appaltante durante l’esecuzione dell’appalto e fino ad un anno dopo la data di cessazione dell’appalto”. L’evidenza che i diritti previdenziali non fossero esercitabili dal lavoratore, in quanto appannaggio di un soggetto terzo (l’Ente previdenziale), aveva portato alla conclusione che l’efficacia del termine annuale di decadenza non potesse essere estesa “ad un soggetto terzo, quale l’Ente previdenziale, i cui diritti scaturenti dal rapporto di lavoro disciplinato dalla legge si sottraggono, pertanto, al predetto termine annuale decadenziale” (da ultimo, Cass. 16 luglio 2018, n. 18809).

La portata innovativa della pronuncia in commento è evidente, considerato che l’orientamento della giurisprudenza di merito, ad oggi consolidato, propende per l’applicazione del termine di decadenza biennale anche all’Ente previdenziale, sul presupposto che quella contemplata all’art. 29, co. 2, del d.lgs. n. 276 del 2003 – nella cornice della responsabilità solidale del Committente – sia una peculiare obbligazione contributiva che, pur legittimando il solo Ente previdenziale alla pretesa, sia del tutto conformata alla speciale azione riconosciuta al lavoratore e, quindi, soggetta al termine di decadenza di due anni. Sarebbe quindi del tutto inconferente quanto già stabilito all’art. 4 della L. 1369/1960, peraltro da ritenersi superato in virtù della sopravvenuta abrogazione e della nuova formulazione dell’art. 29 del d.lgs. n. 276/2003 (cfr. App. Milano 6 luglio 2015, n. 343; richiamata da App. Milano 16 gennaio 2018, n. 2020/2017).

Invero, la diversa formulazione dell’art. 29, co. 2, del d.lgs. n. 276/2003 – per cui il termine di decadenza biennale non è testualmente ricondotto ai soli “diritti spettanti ai prestatori di lavoratori” ma inerisce distintamente anche all’obbligo, a carico del Committente, di “corrispondere […] i contributi previdenziali dovuti” – indurrebbe ad escludere profili di analogia e/o di coincidenza tra le previsioni dell’art. 4 della L. 1369/1960 e dell’art. 29, co. 2, d.lgs. n. 276/2003. Ciò, tanto più, in quanto l’art. 29, co. 2, d.lgs. n. 276/2003 si porrebbe come lex specialis rispetto all’intera disciplina in materia di appalti e di interposizione di manodopera, peraltro nel quadro del consolidato orientamento in materia, secondo cui le norme che introducono una decadenza sono di stretta interpretazione e insuscettibili di applicazione analogica (Cass. 9 luglio 2010, n. 16214; da ultimo, Trib. Milano 11 luglio 2018, n. 716).

Altro elemento da considerare è che l’orientamento ad oggi consolidato è conforme ai chiarimenti del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, contenuti nella Circolare n. 5 dell’11 febbraio 2011, nei termini che seguono: “[…] Il limite temporale per far valere la responsabilità solidale per il pagamento dei  debiti retributivi e contributivi costituisce, dunque, un termine di decadenza per l’esercizio dei relativi diritti.

Inoltre, trattandosi di diritti relativi a oneri sia retributivi che previdenziali, la decadenza opera con riferimento all’esercizio della azione non solo da parte del lavoratore, creditore delle somme dovute a titolo di retribuzione, ma anche da parte degli Istituti, creditori delle somme dovute a titolo di contributi. Per quanto riguarda proprio l’aspetto contributivo, si evidenzia tuttavia che il termine decadenziale di due anni si riferisce evidentemente alla azione dell’Istituto nei confronti del responsabile solidale, mentre resta ferma l’ordinaria prescrizione quinquennale prevista per il recupero contributivo nei confronti del datore di lavoro inadempiente (appaltatore o eventuale subappaltatore)” (Circolare, p. 7).

L’INPS, peraltro, con proprio Messaggio n. 3523 del 29 febbraio 2012 – nel fornire al proprio personale indicazioni in merito alla corretta gestione delle obbligazioni nascenti da vincoli di solidarietà – ha comunicato che “[…] Il committente sarà chiamato a rispondere in solido con l’appaltatore e gli eventuali subappaltatori, ai sensi del predetto ed innovato art. 29 comma 2, per l’intero importo della contribuzione previdenziale dovuta, escluse le sanzioni civili, ma il vincolo della solidarietà viene meno dopo due anni dalla cessazione dell’appalto. Resta ferma l’ordinaria prescrizione quinquennale prevista per il recupero dei contributi nei confronti dell’obbligato principale (appaltatore o subappaltatore)” (Messaggio, pp. 1-2).

In conclusione, la recente pronuncia della Corte di Cassazione in commento, pur ponendosi addirittura in contrasto con le indicazioni fornite dalla stessa INPS, assume essenziale rilievo ai fini dell’implementazione, da parte del Committente, di ogni ragionevole cautela nella scelta dell’appaltatore.

L’inapplicabilità del termine di decadenza biennale – alle pretese creditorie previdenziali azionabili nei confronti del Committente responsabile in solido ex art. 29, co. 2, d.lgs. n. 276 del 2003 – assoggetta infatti l’Ente previdenziale al solo rispetto del termine di prescrizione della pretesa contributiva; che, come noto, varia da dieci a cinque anni, a seconda che il lavoratore interessato (od i superstiti) presenti o meno denuncia di omissione contributiva (art. 3, co. 9, lett. a), L. n. 335 del 1995). Ne consegue la plausibile impossibilità – da parte del Committente – di richiedere ed ottenere, dall’appaltatore, efficaci, durature ed idonee garanzie patrimoniali a copertura di eventuali omissioni contributive (id est: le fideiussioni).

Da ciò l’esigenza tanto più attuale che il Committente colga l’essenzialità di un utilizzo “più virtuoso” del contratto di appalto, selezionando “imprenditori affidabili” – già sulla scorta della sentenza della Corte di Cassazione del 10 gennaio 2019, n. 444 – ed implementando cautele, obblighi di rendiconto e verifiche periodiche, a carico dell’appaltatore, allo scopo di circoscrivere al minimo il rischio di esposizione alle eventuali rivendicazioni dei dipendenti dell’appaltatore (e dei subappaltatori), nonché – primariamente – dell’Ente previdenziale, proprio alla luce delle portata fortemente innovativa delle recenti statuizioni della Corte di Cassazione.