Normativa Covid: divieto di licenziamento anche per superamento del comporto?

Di seguito l’articolo a firma congiunta dei nostri avvocati Valentina Pepe e Andrea Ottolini pubblicato da Diritto 24 e inerente il tema del superamento del periodo di comporto e della permanenza del divieto di licenziamento sancito dalla normativa Covid.

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Come noto, è attualmente in vigore un divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ex l. 604/1966: originariamente introdotto dall’art. 46 del d.l. 18/2020 (c.d. Decreto Cura Italia) per un periodo di 60 giorni dal 17 marzo 2020, tale divieto è stato prorogato sino al 17 agosto 2020 dall’art. 80 del d.l. 34/2020 (c.d. Decreto Rilancio).


La norma è oggetto di discussione sotto molteplici profili, tra cui, solo per citarne alcuni, l’applicabilità al licenziamento dei dirigenti; la gestione del periodo intercorso tra la scadenza del divieto originariamente previsto e la decorrenza degli effetti della proroga introdotta dal decreto rilancio; le conseguenze in caso di violazione del divieto di licenziamento.

In questa sede ci occuperemo della applicabilità o meno di tale disposizione anche ai licenziamenti per superamento del periodo di comporto.


Il periodo di comporto è il lasso temporale durante il quale il dipendente, assente per malattia o infortunio, ha il diritto alla conservazione del posto di lavoro.

L’art. 2110 c.c., 2° comma, prevede che decorso tale periodo (sia esso previsto dalla legge, dagli usi o secondo equità) il datore di lavoro ha diritto di recedere dal contratto.

Ebbene, poiché l’art. 46 d.l. 18/2020 vieta espressamente i licenziamenti di cui all’art. 3 l. 604/1966, perché possa ritenersi sussistere di un divieto di licenziamento anche per i recessi per superamento del comporto occorrerebbe ravvisare in tali licenziamenti una natura oggettiva, secondo la definizione di cui all’art. 3 della l. 604/1966 (esigenze connesse all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa), e conseguentemente sostenere un’applicazione estensiva dell’art. 46 d.l.18/2020, che ricomprenda anche i suddetti licenziamenti.

Tuttavia, con riferimento alla natura del licenziamento per superamento del periodo di comporto – pur dando atto che parte dei commentatori ha ricondotto tali licenziamenti all’ambito oggettivo – si ritiene più aderente al dettato normativo quella dottrina che reputa la disciplina dall’art. 2110 c.c. una causa speciale di recesso, non assimilabile né al licenziamento per motivi soggettivi né a quello per motivi oggettivi; tale circostanza trova conferma nell’esclusione dei recessi per superamento di comporto dalle procedure previste dall’art. 7 St. Lav. per i licenziamenti disciplinari e dall’art. 7 l. 604/1966 (per gli assunti prima del 7 marzo 2015) per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo.

Infatti, secondo quanto statuito dalla giurisprudenza di legittimità, una volta che il periodo di comporto sia trascorso, ciò risulta “condizione sufficiente a legittimare il recesso e, pertanto, non è necessaria, nel caso, la prova del giustificato motivo oggettivo, né della impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa, né quella della correlativa impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse” (Cass. 31763/2018).

Il periodo di comporto è stato dunque efficacemente definito “un’astratta predeterminazione del punto di equilibrio fra l’interesse del lavoratore a disporre d’un congruo periodo di assenze per ristabilirsi a seguito di malattia o infortunio e quello del datore di lavoro di non doversi fare carico a tempo indefinito del contraccolpo che tali assenze cagionano all’organizzazione aziendale” (Cass. S.U. 12568/2018).

Alla luce di queste premesse, non può quindi ritenersi che la previsione di cui all’art. 2110 c.c. sia di per sé sovrapponibile o riconducibile ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, quantomeno nell’accezione di cui all’art. 3 l. 604/1966.

Né, d’altro canto, e pur prescindendo dalla diversità ontologica delle due tipologie di licenziamento, si ritiene che in assenza di un richiamo specifico all’art. 2110 c.c. sia possibile interpretare estensivamente l’art. 46 d.l. 18/2020 fino a ricomprendevi tale fattispecie: senza scomodare i profili di costituzionalità evidenziati da parte della dottrina, occorre infatti considerare la peculiarità della norma (che aveva avuto un unico precedente, nell’immediato dopoguerra), che porta a ritenere debba trovare applicazione nei limiti di quanto espressamente previsto, senza possibilità di estensione a fattispecie non menzionate (è da reputarsi volutamente) dal legislatore.

Infine, occorre considerare la ratio del divieto di licenziamento introdotto dal decreto Cura Italia, e cioè quella di mantenere i livelli occupazionali in presenza di una situazione di crisi eccezionale, causata da fattori esogeni alle normali dinamiche economico-finanziarie e del mercato del lavoro.

Tale ratio mal si attaglia all’ipotesi del superamento del comporto, che è circostanza diversa, che potrebbe verificarsi anche prescindendo dall’epidemia di Covid-19: a tal proposito, si ricorda inoltre che ai sensi dell’art. 26, comma 1, del Decreto “Cura Italia”, il periodo di assenza trascorso in quarantena domiciliare con sorveglianza attiva per Covid-19 non deve essere computato ai fini della maturazione del periodo di comporto.

Pertanto, alla luce delle considerazioni sopra svolte, si ritiene che la malattia – ad esclusione delle eccezioni espressamente previste dalla normativa – sia soggetta all’ordinaria regolamentazione stabilita dall’art. 2110 c.c., e conseguentemente sia ragionevole ritenere esclusi dal novero dei licenziamenti vietati sino al 17 agosto 2020 quelli intimati per superamento del periodo di comporto.